Previdenza professionale: uno studio analizza le perdite da pensionamento

Berna, 24.03.2015 - Visti i bassi rendimenti degli investimenti e la crescente speranza di vita, l'aliquota minima di conversione applicabile alla parte obbligatoria della previdenza professionale e fissata per legge al 6,8 per cento causa agli istituti di previdenza notevoli perdite da pensionamento. Nel secondo pilastro si verifica pertanto una ridistribuzione dei mezzi contraria al sistema. È quanto viene evidenziato in via esemplificativa da uno studio commissionato dall'Ufficio federale delle assicurazioni sociali che ha analizzato i meccanismi e le ripercussioni delle perdite da pensionamento subite da un campione di 27 casse pensioni.

I bassi rendimenti degli investimenti e la crescente speranza di vita mettono sotto pressione finanziaria le casse pensioni. Da molti anni i rendimenti si collocano al di sotto del 5 per cento, la percentuale necessaria per finanziare le rendite calcolate in base all'aliquota minima di conversione fissata per legge al 6,8 per cento. Soprattutto le casse pensioni che assicurano solo le prestazioni minime previste dalla legge o poco più subiscono perciò perdite da pensionamento ogniqualvolta nasce il diritto a una nuova rendita, trovandosi dunque confrontate con impegni finanziari non completamente coperti. Per finanziare le rendite in corso devono gravare gli assicurati attivi, un meccanismo che, però, è in contrasto con il sistema del secondo pilastro. Gli istituti di previdenza con prestazioni integrate che assicurano anche prestazioni sovraobbligatorie non sono interessati dal problema o lo sono solo in misura ridotta, perché sono liberi di fissare l'aliquota di conversione per la parte sovraobbligatoria, potendo così compensare le perdite da pensionamento subite nella parte obbligatoria.

L'Ufficio federale delle assicurazioni sociali ha commissionato uno studio che analizza in via esemplificativa l'entità e l'effetto delle perdite da pensionamento presso 27 istituti di previdenza. L'analisi, non rappresentativa di tutti gli istituti, evidenzia i meccanismi e le ripercussioni riscontrabili nelle casse pensioni esaminate e li quantifica. Quantificare le perdite da pensionamento effettive per l'intero sistema della previdenza professionale sarebbe possibile solo con un onere considerevole e notevoli difficoltà.

Nella riforma Previdenza per la vecchiaia 2020 il Consiglio federale propone di abbassare l'aliquota minima di conversione per garantire l'equilibrio finanziario della parte obbligatoria della previdenza professionale ed eliminare la ridistribuzione dei mezzi, indesiderata e contraria al sistema, dagli assicurati attivi ai pensionati. Lo studio ha pertanto analizzato in che modo un'aliquota minima di conversione del
6 per cento, come quella proposta, avrebbe inciso sugli istituti di previdenza presi in esame nel periodo oggetto dell'analisi (2009-2013). Ne è emerso che l'aliquota in questione avrebbe notevolmente ridotto le perdite da pensionamento. Questo risultato va a confermare che la misura proposta dal Consiglio federale è adeguata all'obiettivo da raggiungere. Tuttavia, non potendo prevedere i rendimenti che gli investimenti frutteranno in futuro, i risultati dello studio – tra l'altro non rappresentativi – non permettono di stabilire se un'aliquota minima di conversione LPP del 6 per cento anziché del 6,8 per cento sia adeguata, troppo bassa o troppo alta nel lungo periodo.


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