«Il futuro dell’Europa è leggere l’allegria negli sguardi dei bambini»

Berna, 23.04.2013 - «Palais de l'Europe» a Strasburgo, 23.4.2013 - Allocuzione del Consigliere federale Didier Burkhalter davanti all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa - Fa stato la versione orale

Signor presidente,
onorevoli membri dell’Assemblea parlamentare,
signore e signori,

il 6 maggio prossimo 50 giovani europei saranno in Svizzera per terminare un viaggio di una settimana alla scoperta del nostro Paese iniziato qui a Strasburgo, alla sede del Consiglio d’Europa. La Svizzera commemorerà insieme a loro il mezzo secolo di adesione al Consiglio d’Europa.

Il 6 maggio 1963, infatti, la Svizzera aderiva ufficialmente all’organizzazione divenendone il 17° membro. Se un avvenimento di tale portata non può non essere celebrato – e vi ringrazio per avermi concesso l’onore di esprimermi in questa sede in nome del Consiglio federale – la Svizzera ha deciso di ricordarlo rivolgendo lo sguardo al futuro piuttosto che indugiare sui 50 anni ormai trascorsi.

E questo futuro vogliamo leggerlo negli occhi dei giovani europei. Ecco la ragione per cui la Svizzera ospiterà un gruppo di 50 giovani provenienti dagli ultimi 11 Paesi entrati a far parte del Consiglio d’Europa, ossia da Albania, Armenia, Azerbaigian, Bosnia e Erzegovina, Georgia, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Russia, Serbia e Ucraina.

I 50 giovani nostri invitati trascorreranno insieme una settimana di scoperta, di formazione, di riflessione. Si interesseranno di democrazia, diritti dell’uomo, giustizia, Stato di diritto, federalismo, rispetto delle minoranze, tutti temi di cui discuteremo con loro. Nel loro percorso faranno tappa in diverse località della Svizzera: Berna, Delémont, Zurigo, Lucerna e infine Friburgo, dove il 6 maggio celebreremo il 50° dell’adesione in presenza del segretario generale Jagland.

A Glarona, assisteranno dal vivo a un’espressione di democrazia nella sua forma più pura, la Landsgemeinde, alla quale ho anch’io partecipato l’anno scorso in compagnia del ministro degli esteri austriaco.

Signore e signori, vi parlo di un’autentica dimostrazione di democrazia vissuta: un intero popolo che si stringe sulla piazza del villaggio, che rimane per quattro ore sotto la pioggia battente a discutere di vari argomenti, ascoltando con rispetto tutte le opinioni e decidendo insieme! Mostreremo a questi giovani, che simboleggiano il futuro dell’Europa, il cuore pulsante della democrazia svizzera. Nel corso della loro visita li porteremo naturalmente anche al Consiglio d’Europa, qui a Strasburgo.

Questi 50 giovani, insieme ai loro compagni che incontreranno in Svizzera, sono l’Europa di domani.

Nei loro occhi leggeremo i sogni che nutrono per l’avvenire: l’avvenire dell’Europa che vogliamo lasciare loro in eredità. Un’Europa di pace, democrazia, apertura, sicurezza e prosperità.

Signore e signori,

far politica significa edificare un Paese, un’Europa, un mondo migliore per le generazioni future, per i bambini; significa fornire prospettive alla gioventù – e la possibilità di realizzarle. «Far politica significa autorizzare il futuro» scriveva il filosofo svizzero ed europeo Denis de Rougemont, che cito volentieri perché come me originario del Cantone di Neuchâtel. È questo il motivo che il 6 maggio 1963 ha indotto la Svizzera ad aderire al Consiglio d’Europa. Ed è la ragione per la quale oggi vi rimane: costruire l’avvenire per i giovani, permettere loro di edificarlo.

Vorrei oggi parlarvi della Svizzera e della sua idea della democrazia, del diritto e della libertà. Mi soffermerò in seguito sul Consiglio d’Europa e sulla sua importanza per lo sviluppo del nostro continente e della Svizzera. Infine, illustrerò l’impegno della Svizzera nel continente europeo e anche oltre i suoi confini, e la nostra visione per gli anni a venire.

1. La Svizzera, la sua idea della democrazia, del diritto, della libertà

Il ruolo di un Paese nei confronti dell’Europa e le sue relazioni con l’Europa sono oggetto di un dibattito democratico in tutti i Paesi del continente.

Questo dibattito si inserisce nel contesto di una globalizzazione sempre più incalzante e di un mutamento di equilibri, ma anche di una diversificazione dei poli mondiali.

Si inserisce anche nel contesto di un’integrazione europea che in pratica procede a velocità diverse e sotto varie forme: alcuni Paesi dell’UE, ad esempio, fanno parte dell’Eurozona, altri no; alcuni Paesi membri dell’UE sono in tutto o in parte esclusi dallo spazio Schengen, mentre altri Paesi, come la Svizzera, che non sono membri dell’UE, vi hanno integralmente aderito. Quanto al Consiglio d’Europa, abbraccia quasi tutto il continente.

Ovunque, le relazioni con l’Europa e le sue varie istituzioni sono oggetto di dibattito e di riflessione. E questa è una bella prova di viva e sana democrazia, che si esprime in modo particolarmente intenso in Svizzera, dove la democrazia diretta è praticata nella vita di tutti i giorni. Certamente non tutti i giorni sulla piazza della Landsgemeinde (e sotto la pioggia battente!), ma almeno quattro volte l’anno alle urne e sempre nella vita quotidiana.

La Svizzera è l’unico Paese in tutta Europa ad aver votato, e due volte con esito positivo, sulle successive estensioni dell’Unione europea e quindi sull’accordo di libera circolazione delle persone. Probabilmente ritornerà alle urne anche per l’adesione della Croazia all’UE nel luglio prossimo. Da noi il dibattito popolare e democratico è in effetti particolarmente vivo.

In un Paese come il nostro, nel cuore dell’Europa, all’incrocio di tre grandi culture europee, le questioni legate all’identità europea sono per evidenti ragioni molto sentite: per il modo in cui il Paese è andato formandosi, per la sua storia politico-istituzionale, per le sue caratteristiche geografiche. Ed è forse anche per questo che la struttura statale e la vita politica della Svizzera hanno ben presto assunto caratteristiche simili a quelle di un’Europa in divenire.

La Svizzera si è data una costituzione federale sin dal 1848. È uno dei pochi Paesi in cui in quel periodo di rivoluzioni europee le idee liberali, democratiche e repubblicane hanno potuto imporsi e sono state conservate senza interruzione fino ai giorni nostri. La Costituzione del 1848, i cui tratti salienti caratterizzano ancora il testo dell’odierna costituzione nonostante due revisioni totali, ha istituito un potere limitato, decentralizzato e condiviso.

Potere limitato nel senso che l’iniziativa, la libertà e la responsabilità individuali svolgono in Svizzera un ruolo fondamentale.

Questo ruolo compenetra persino le modalità di costituzione delle nostre autorità, poiché l’impegno politico in Svizzera si fonda per l’essenziale su un lavoro volontario e su un sistema di milizia. Vasti settori della politica, peraltro, e in particolare le questioni che toccano il mondo del lavoro, dipendono in larga misura dal dialogo tra le parti sociali, ossia tra sindacati e associazioni padronali, piuttosto che da leggi e politiche pubbliche.

In Svizzera il potere è anche decentralizzato in virtù del principio di sussidiarietà: la Costituzione riconosce infatti, per norma, una competenza originaria ai Cantoni, mentre lo Stato federale adempie soltanto i compiti che gli vengono delegati.

Infine, il potere in Svizzera è frammentato, poiché il potere esecutivo non è affidato a un singolo individuo ma a organi collegiali. Il Consiglio federale è un’autorità collegiale, che prende collettivamente le decisioni importanti ed è presieduto a turno per un anno da ciascuno dei suoi membri. Questo sistema, che spersonalizza il potere, si ritrova più o meno con lo stesso schema anche nei Cantoni e nei Comuni.

Nel corso della seconda metà del XIX° secolo, un importante ingranaggio è venuto a completare questa struttura istituzionale: la democrazia semidiretta. Anch’essa si ritrova più o meno con la stessa forma nei Cantoni e nei Comuni e siccome rafforza i contropoteri, ha limitato ulteriormente il potere legislativo ed esecutivo: in Svizzera le grandi decisioni sono sempre prese dal Popolo «sovrano».

La ricetta svizzera consiste dunque nel creare un connubio tra liberalismo, federalismo e democrazia diretta, con il suo corollario: un sistema politico basato sul consenso.

In un simile contesto, la promozione e il rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e della pace sono, per così dire, iscritti nel patrimonio genetico nazionale.

E con l’andar degli anni nella nostra Costituzione hanno trovato posto anche la volontà di lottare contro la povertà e di proteggere l’ambiente.

Gli svizzeri vanno fieri di questo sistema e gli sono molto affezionati.

Il motivo per cui la Svizzera ha avuto bisogno di tempo per aderire a grandi organismi come il Consiglio d’Europa o l’Organizzazione delle Nazioni Unite, quantunque ne condividesse appieno i valori, risiede nella sua neutralità, in un mondo che per lungo tempo è stato profondamente diviso, e nella lentezza che a volte caratterizza i processi decisionali nei sistemi di democrazia diretta.

La Svizzera è l’unico Paese al mondo ad aver votato, e per ben due volte, l’adesione all’ONU. Nel 1986, in un contesto caratterizzato dalla guerra fredda, il popolo ha respinto l’adesione con il 75 per cento dei no. Nel frattempo il mondo è cambiato, la guerra fredda è passata alla storia, l’ONU è divenuta indiscutibilmente un’organizzazione a vocazione universale e nel 2002 il popolo svizzero ha finalmente accettato di aderirvi.

Da allora la Svizzera si trova a suo agio all’ONU, in seno al quale può difendere nel mondo intero i valori in cui crede e i suoi interessi. Nel 2022 sarà candidata per la prima volta al Consiglio di sicurezza.

Per l’adesione al Consiglio d’Europa è occorso un certo tempo, perché la Svizzera voleva persuadersi che non si trattasse di una struttura di opposizione tra i due blocchi, bensì di un’organizzazione che serviva dei valori.

La Svizzera si è persuasa che l’adesione al Consiglio d’Europa l’avrebbe aiutata non solo a sviluppare i valori della democrazia, dei diritti dell’uomo e della pace, ma anche a promuovere questi valori al di là dei propri confini.

In un mondo e su un continente caratterizzati da una crescente compenetrazione, la Svizzera sente di avere, come altri, la responsabilità di impegnarsi per affrontare i problemi globali e di dar prova di solidarietà. La stabilità e lo sviluppo economico e umano del continente e del mondo intero, del resto, sono obiettivi nell’interesse di tutti, Svizzera compresa. Oggi possiamo quindi definire la politica estera della Svizzera con la triade «neutralità, solidarietà, responsabilità».

Questo è in particolare il motivo che ha indotto la Svizzera ad aumentare in modo consistente il proprio contributo all’aiuto alla cooperazione e allo sviluppo, che nel periodo 2013-3016 supererà gli 11 miliardi di franchi raggiungendo la soglia dello 0,5 per cento del reddito nazionale lordo.

Questa decisione è intesa come gesto di responsabilità e di solidarietà compiuto nei riguardi dell’Europa e del mondo in tempi in cui altri sono purtroppo costretti per ragioni finanziarie a ridurre i loro contributi. La cooperazione internazionale è il settore in cui si registra la crescita più marcata della spesa pubblica nell’attuale periodo di preventivo.  

La Svizzera ha dunque avuto bisogno di qualche anno di prudente e legittima osservazione prima di aderire al Consiglio d’Europa. Ma in tutta evidenza non è rimasta indifferente alla dinamica innescatasi in Europa nel secondo dopoguerra. Ha osservato il movimento in atto con occhio benevolo e all’epoca alcuni suoi cittadini si sono persino intensamente impegnati in seno al Movimento europeo. Denis de Rougemont, che ho già citato prima, si è adoperato attivamente al Congresso dell’Aia del 1948, presieduto da Winston Churchill. È ad esempio l’autore del «Messaggio agli Europei», da lui letto personalmente durante la seduta finale, che nel 1949 portò alla nascita del Consiglio d’Europa. Il Paese di de Rougemont, invece, non era ancora pronto per l’adesione e i tempi, nel contesto internazionale del primo dopoguerra, non erano ancora maturi.

Considerando il carattere intergovernativo del Consiglio d’Europa e i valori e principi che difendeva, negli anni 1960 la Svizzera si è però persuasa che valeva la pena di aderirvi.

Dopo l’adesione, la Svizzera ha presto trovato a Strasburgo un modo di operare che sentiva affine.

La valorizzazione della dimensione locale e regionale, il coinvolgimento degli ambienti interessati della società civile, la ricerca del consenso nel processo decisionale e più in generale l’approccio fondato sul diritto fanno del Consiglio d’Europa un consesso congeniale allo spirito svizzero.

La Svizzera accorda un’importanza particolare alle convenzioni del Consiglio d’Europa, partecipando attivamente alla loro elaborazione oppure ratificando o firmando la maggior parte di esse. Delle 212 convenzioni elaborate dal Consiglio d’Europa, la Svizzera ne ha ratificate 116 e siglate altre 13. In generale, la Svizzera è incline ad aderire per quanto possibile alle convenzioni del Consiglio d’Europa.

Nondimeno, esamina con cura ogni adesione. Se per ora ha deciso di non adottare alcuni di questi testi, non lo fa perché non ne condivide gli obiettivi, ma perché ha scelto di realizzarli per altre vie. Le divergenze riguardano dunque i mezzi e non gli obiettivi.

Consentitemi di illustrare questo atteggiamento con un esempio che ben rappresenta la cultura politica della Svizzera. La Confederazione non ha ancora adottato la Carta sociale europea. L’ostacolo all’adesione risiede nel fatto che, se applicata pedissequamente, la convenzione potrebbe mettere in forse importanti conquiste economiche e sociali da noi considerate come elementari.

Mi spiego meglio: il sistema duale applicato in Svizzera per la formazione professionale, ossia il tirocinio ripartito tra scuola e azienda, è un fattore essenziale del successo economico del nostro Paese. La Svizzera registra il più basso tasso di disoccupazione giovanile in Europa! Dare ai giovani una prospettiva d’impiego è una delle sfide più scottanti, probabilmente la più scottante in assoluto del nostro continente.

Una delle ragioni del successo della Svizzera in questo campo è legata al sistema duale adottato per il tirocinio. Essendo stati preparati sia in azienda sia a scuola, i giovani si adattano rapidamente alle esigenze del mondo economico reale. Oltretutto, le necessità evolutive del mercato vengono rapidamente integrate anche a livello della formazione.

Evidentemente, durante il tirocinio i giovani apprendisti non percepiscono un salario equivalente a quello che percepiranno in seguito come impiegati. Durante la formazione, però, i loro amici che frequentano il liceo non ricevono alcun salario. La nostra adesione alla Carta sociale potrebbe mettere in forse, se si adottasse una lettura troppo rigida della convenzione, proprio una parte di questo sistema, proprio a causa dei livelli salariali degli apprendisti.

Su questo tema sono in corso chiarimenti e noi ci appelliamo affinché si tenga conto non già dei processi formali, ma dei risultati di una politica. Nel caso del lavoro dei giovani, la citazione di de Rougemont è forse più calzante che in qualsiasi altro ambito: far politica significa autorizzare il futuro.

Dare ai giovani una buona formazione e un posto di lavoro significa autorizzare il futuro. In questo campo, la politica migliore consiste nell’offrire posti di lavoro. Politiche diverse possono condurre a risultati simili. Attualmente la Svizzera conduce una discussione con il Comitato europeo dei diritti sociali per ottenere che si riconoscano le equivalenze del nostro sistema duale, consentendo così alla Svizzera di aderire alla Carta sociale senza pregiudicare una caratteristica che fa parte delle sue carte vincenti.

In effetti, la Svizzera ha l’abitudine di applicare in modo preciso, direi addirittura esemplare, i testi che sottoscrive. Se sa che non potrà applicare un testo alla lettera, come per ora nel caso della Carta sociale, preferisce, in buona logica, rinunciare ad aderirvi, perlomeno fintanto che la giurisprudenza non abbia sufficientemente chiarito la portata degli obblighi che ne derivano.

In questo campo come in altri, dunque, la Svizzera si preoccupa prima di tutto dei risultati di una politica per la sua popolazione.

Segnalo ancora che per esercitare il proprio dovere di responsabilità e solidarietà, la Svizzera intende lanciare, in questo settore della formazione professionale, un vasto programma destinato a favorire e sviluppare la formazione professionale nei Paesi dell’Europa dell’Est dove tale necessità esiste, in particolare a causa di un elevato tasso di disoccupazione giovanile.

2. Importanza del Consiglio d’Europa per il nostro continente

Signore e signori,

Il contributo dato dal Consiglio d’Europa allo sviluppo della democrazia e dello Stato di diritto in Europa e anche al di là delle sue frontiere nonché, alla realizzazione di un sistema unico al mondo di protezione dell’individuo è un pregio riconosciuto universalmente e i meccanismi da esso sviluppati servono spesso da riferimento.

Grazie ai meccanismi istituiti qui a Strasburgo, il rispetto dei diritti e delle libertà ha compiuto progressi in tutti i Paesi d’Europa. Sarebbe auspicabile che di questi diritti e di queste libertà potessero godere anche le popolazioni che ancora ne sono prive: parlo in particolare della Bielorussia, con cui spero caldamente si possa presto riprendere il dialogo, e del Kosovo, che non è ancora stato ammesso a far parte del Consiglio d’Europa. Parlo anche delle regioni in preda a conflitti prolungati e cristallizzati, come nel territorio dell’ex Unione sovietica. Per queste regioni la premessa è che tali conflitti trovino una soluzione, obiettivo che deve rimanere tra le priorità degli sforzi profusi a livello europeo e che figurerà anche tra gli obiettivi prioritari della Svizzera nel 2014, quando il nostro Paese presiederà l’OSCE.

Il contributo del Consiglio d’Europa allo sviluppo dei diritti dell’uomo e dello Stato di diritto ha esercitato un impatto positivo anche per la Svizzera: i diritti e le libertà enunciati nei primi articoli della Costituzione federale si ispirano ampiamente ai principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Inoltre, da quando la Svizzera ha aderito alla convenzione, sono state colmate diverse lacune nella tutela di diritti e libertà e la legislazione svizzera è evoluta, certo in virtù di decisioni adottate sovranamente, ma sulla spinta di un dialogo tipico dei meccanismi di tutela dei diritti dell’uomo.

Signore e signori,

in questo momento la promozione della crescita e dell’occupazione è chiaramente una priorità, se non la priorità assoluta, per la maggior parte dei governi europei. Sappiamo però che la prosperità si costruisce sulle basi non solo di un contesto stabile dal punto di vista istituzionale e giuridico, ma anche economico e sociale. Non è per puro caso, dunque, che la ricerca della stabilità non possa essere dissociata dall’anelito alla prosperità. Ebbene, la stabilità è data dalle regole che disciplinano le nostre attività, pubbliche o private che siano, è un contratto di società, un Contratto sociale per dirla con Rousseau.

Il Consiglio d’Europa e le sue convenzioni contribuiscono alla creazione di un quadro normativo caratterizzato da coerenza e certezza nel nostro continente nel suo insieme. Sono un elemento che favorisce la stabilità, lo sviluppo umano, la costruzione di un’economia florida e di una società che integra e offre prospettive.

Quanto agli organi di controllo, e al di sopra di tutti naturalmente la Corte europea dei diritti dell’uomo, rappresentano garanzia senza pari di coerenza e di solidità del sistema.

Nel proprio sistema di valori, la Svizzera innalza al di sopra di tutto le libertà e i diritti di ogni individuo. Il sistema della Corte è preziosissimo, poiché garantisce a ogni individuo la possibilità di far rispettare i propri diritti contro l’arbitrio o la prepotenza dello Stato. La Corte difende gli individui e le loro libertà. La possibilità di ricorrere «a Strasburgo» per difendere i propri diritti contro il proprio Governo è una garanzia essenziale per ogni individuo.

Certamente, agli Stati non piace soccombere dinanzi alla Corte. E sotto questo aspetto la Svizzera è come tutti gli altri. Peraltro, in questi giorni sta esaminando nei dettagli una sentenza che la sconcerta e se lo riterrà giustificato si avvarrà dei rimedi giuridici previsti per deferire il caso alla Grande Camera. Il semplice fatto di accettare che le istituzioni lavorino in una società che integra è un segno di democrazia compiuta.

Dalla seconda metà del XX° secolo, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è uno strumento di primaria e cruciale importanza nello sviluppo dell’Europa. Garantendo una protezione efficace a diritti tanto importanti quanto il diritto alla vita, il diritto a un equo processo, al rispetto della vita privata e familiare, la libertà d’espressione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la garanzia della proprietà, e proscrivendo la tortura, la pena di morte o la detenzione arbitraria, la convenzione e la Corte tutelano i valori cardinali del nostro continente e del genere umano.

È il motivo per cui la Svizzera ha riaffermato nella propria Costituzione questi stessi valori.

L’intenzione di aderire alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo manifestata dall’Unione europea esalta l’importanza di tale meccanismo. La Svizzera plaude a questa intenzione e la sostiene. L’adesione dell’Unione europea verrà a colmare una lacuna nel dispositivo di tutela dei diritti dell’uomo in Europa. La Svizzera si congratula con i negoziatori per l’accordo raggiunto di recente.

L’accordo sull’adesione dell’UE dovrà ancora superare una serie di scogli per giungere alla ratifica da parte degli Stati membri e dell’Unione europea.
La strada è dunque ancora lunga, rimane un importante lavoro da svolgere per poter disporre di un sistema unico di controllo dei diritti dell’uomo per tutto il continente. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa dovranno continuare a impegnarsi tutti insieme con ferrea volontà, e a prescindere dalla loro appartenenza all’Unione europea, per garantire l’integrità e la legittimità di questo meccanismo.

L’influenza degli standard diffusi dal Consiglio d’Europa non si ferma comunque alle porte del continente. Questi standard sono oggi un riferimento per il mondo intero. I Paesi che hanno aderito a taluni strumenti giuridici del Consiglio d’Europa sono numerosi.

I diritti e le libertà promossi dal Consiglio d’Europa hanno anche rafforzato la sicurezza nel nostro continente. Se i diritti degli individui sono continuamente violati e le loro libertà calpestate, non può regnare la pace nelle nostre società, e neppure tra le nazioni.

Situazioni del genere sono un fattore di instabilità e quindi di insicurezza e comportano gravi conseguenze per le regioni interessate e per tutto il continente, in termini economici e di fenomeni migratori in particolare.

Non è per puro caso che l’estensione dei diritti e delle libertà fondamentali sia stata scortata da una maggior disponibilità degli Stati a cooperare tra loro e da un recedere dei conflitti violenti in Europa.

Signor presidente,
signore e signori,

se il progressivo allargamento della Comunità europea e in seguito dell’Unione europea aveva ridotto l’influenza del Consiglio d’Europa, la fine della guerra fredda le ha conferito nuovo slancio. Grazie alla competenza del Consiglio d’Europa, i Paesi mitteleuropei, i Paesi dell’Europa dell’Est e dei Balcani hanno potuto contare su un sostegno fondamentale negli sforzi compiuti per instaurare lo Stato di diritto, per la democratizzazione delle loro società e per il rispetto dei diritti dell’uomo.

Oggi quasi tutti i Paesi d’Europa si ritrovano a Strasburgo per consolidare e perfezionare il nostro bagaglio comune, il fulcro dei valori del nostro continente, la base della sua stabilità, della sua sicurezza e della sua prosperità. Speriamo che la situazione dei due Stati ancora assenti cambi presto.

Ma tutto questo non basta a garantire la riuscita della missione del Consiglio d’Europa. Le risorse di cui dispone non sono destinate ad aumentare. Conviene dunque che concentri le proprie attività su ciò che costituisce il suo principale apporto e che cooperi strettamente con le altre organizzazioni internazionali,

preferendo la complementarietà all’antagonismo.

Il rafforzamento dell’efficacia del Consiglio d’Europa era una delle priorità della Svizzera nel periodo in cui, tra il novembre 2009 e il maggio 2010, ha presieduto il Comitato dei ministri. Erano in gioco la riforma della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella del Consiglio d’Europa.

Nel febbraio 2010, la Conferenza di Interlaken ha portato all’adozione da parte dei ministri della giustizia di tutti i Paesi di un piano d'azione per la riforma della Corte. Da allora l’attuazione del piano d’azione ha già superato diversi traguardi, in particolare con l’adozione delle dichiarazioni di Izmir e di Brighton.

Siamo senz’altro sulla buona strada, ma siamo giunti solamente a metà del nostro cammino sulla via di queste riforme.

È dunque essenziale che il processo di Interlaken prosegua il suo corso e che non sfumi la volontà di garantire alla Corte un funzionamento efficace, né tra gli Stati membri né in seno a questa Assemblea. La posta in gioco è l’efficacia, e quindi la credibilità, del sistema di tutela dei diritti dell’uomo in Europa.

Quanto all’altro obiettivo chiave, vale a dire la riforma del Consiglio d’Europa, la Svizzera appoggia pienamente gli sforzi intrapresi sin dalla sua nomina dal segretario generale Jagland, che vogliamo ringraziare per l’impegno dimostrato. In occasione del terzo vertice del Consiglio d’Europa, tenutosi nel 2005 a Varsavia, i capi di Stato e di Governo degli Stati membri hanno deciso di rifocalizzare l’organizzazione sulla sua principale missione.

Oltre che giusta, questa decisione è essenziale per garantire in avvenire la pertinenza, e quindi l’utilità, del Consiglio d’Europa.

Dal 2005 in poi, ci si è impegnati per conferire al Consiglio d’Europa un profilo più netto. Oggi l’organizzazione si posiziona con chiarezza negli ambiti della tutela e della promozione dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto in Europa.

Dal 2009 è stato fatto molto per far sì che questi grandi indirizzi si rispecchino nella struttura e soprattutto nella prassi, vale a dire nelle attività quotidiane, del Consiglio d’Europa.

Questo slancio riformatore non deve affievolirsi e i lavori devono essere portati avanti con ferma volontà.

Il segretario generale che eleggerete nel giugno dell’anno prossimo dovrà impegnarsi risolutamente in questa direzione.

3. Impegno della Svizzera entro e oltre i confini d’Europa

Signor presidente,
signore e signori,

La Svizzera è un Paese di pace. Molto di recente, in Colombia, negli occhi dei bambini, figli degli sfollati del conflitto armato che hanno vissuto gli orrori della guerra civile, sono stati strappati da tutto e hanno perso tutto,ho visto ciò che pensano quando si parla loro della Svizzera. Sì. La Svizzera ha la fortuna di essere da tempo un Paese di pace e di prosperità. Questa sua fortuna comporta per la Svizzera dei doveri e una responsabilità.

La Svizzera si impegna nel mondo e nel nostro continente in favore della risoluzione dei conflitti, offrendosi per favorire il dialogo e talvolta nel ruolo di mediatore. La promozione dei diritti dell’uomo, dello Stato di diritto e della democrazia è l’indispensabile corollario degli sforzi compiuti.

Il Consiglio d’Europa, con la sua peculiare competenza in questi campi, è una piattaforma privilegiata che consente agli Stati di tutelare e promuovere insieme i diritti e le libertà, garantendo così pace e prosperità. La Svizzera desidera continuare a impegnarsi in seno al Consiglio d’Europa e con il Consiglio d’Europa per il perseguimento di questi obiettivi.

La Svizzera si riconosce pienamente nella cooperazione intergovernativa praticata in seno al Consiglio d’Europa. Si riconosce anche nelle attività dell’organizzazione e figura tra i Paesi che forniscono i più cospicui contributi volontari in suo favore. Il Consiglio d’Europa è un partner molto apprezzato nell’ambito della nostra cooperazione bilaterale con diversi Paesi europei. Pertanto, crediamo negli sforzi che il Consiglio intraprende a sostegno dei Paesi in transizione e li sosteniamo.

L’anno prossimo la Svizzera avrà l’onore di presiedere l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. La presidenza, in questo periodo caratterizzato da importanti sfide per l’OSCE, richiederà particolare impegno da parte del nostro Paese.

In primo luogo, occorrerà ritrovare la capacità di cooperare realmente e quindi di decidere insieme. In seno all’OSCE si è forse sentita troppo spesso la formula «we agree to disagree»: d’ora in poi bisognerà far sentire più spesso la voce che dice «we disagree to disagree»! In un’organizzazione nella quale le decisioni sono prese all’unanimità, la realizzazione di questo obiettivo dipenderà dalla volontà di ognuno dei suoi membri, di Paesi che in buona percentuale fanno parte anche del Consiglio d’Europa: i vostri. Si tratta di un’evoluzione essenziale per un’organizzazione come l’OSCE che, come ben dice il nome, si consacra alla sicurezza della nostra Europa.

Per la Svizzera, la presidenza dell’OSCE rappresenta un’opportunità per contribuire ancor più alla stabilità e alla prosperità entro e oltre i confini europei. Questo impegno ci consentirà non solo di rafforzare la nostra azione nel campo della risoluzione dei conflitti, della mediazione e della promozione della pace, ma anche di contribuire alla diffusione della supremazia del diritto e del sistema di governo democratico.

Tra il Consiglio d’Europa e l’OSCE esiste un importante potenziale di sinergie e di complementarietà. I due organismi perseguono obiettivi simili ed entrambi contribuiscono alla pace, alla sicurezza e alla prosperità nel continente europeo.

Se il Consiglio d’Europa si occupa anzitutto di introdurre standard in materia di diritti dell’uomo, di democrazia e di Stato di diritto, e di sorvegliarne l’applicazione, l’OSCE è in primo luogo uno strumento di prevenzione dei conflitti, di gestione delle crisi e di riabilitazione post-conflitto.

Non dimentichiamo però che anche l’OSCE introduce negli stessi ambiti standard politicamente vincolanti che svolgono un ruolo chiave, ad esempio nei Paesi dell’Asia centrale che non fanno parte del Consiglio d’Europa.

Le due organizzazioni hanno già instaurato una ben collaudata cooperazione in diversi ambiti: tolleranza e non discriminazione, minoranze nazionali, lotta contro la tratta di esseri umani, lotta contro il terrorismo. La collaborazione ha rafforzato l’efficacia delle attività dei due organismi.

Siamo convinti che valga la pena di estenderla ad altri campi. Pensiamo in particolare a una cooperazione laddove è più indispensabile: sul terreno. La Svizzera aveva già sottolineato questo aspetto quando nel 2010 presiedeva il Comitato dei ministri.

Un’accresciuta collaborazione potrebbe giovare anche alle attività di osservazione elettorale, nelle quali la vostra Assemblea è intensamente coinvolta.

Una collaborazione tra le Assemblee parlamentari dei due organismi, e perché no una sessione comune, consentirebbe senz’altro di approfondire le potenzialità esistenti e incoraggerebbe una cooperazione concreta ed efficace. Desidero invitarvi a riflettere sin d’ora su queste possibilità.

Nel 2014, in qualità di presidente in carica dell’OSCE, la Svizzera sosterrà qualsiasi iniziativa intesa a rafforzare la cooperazione effettiva con il Consiglio d’Europa.

Nel 2013 e nel 2014 prevediamo tra l’altro una serie di conferenze sui problemi delle minoranze nazionali con la partecipazione degli esperti delle due organizzazioni.

Signore e signori,

oggi i valori che il Consiglio d’Europa difende fungono da norma in Europa e sono considerati un riferimento nel mondo intero.

Esiste un campo in cui il nostro operato potrebbe avere un effetto propagatorio al di fuori dei nostri confini. Questo campo è quello dell’abolizione della pena di morte, una delle priorità della politica svizzera in materia di diritti dell’uomo.

La Svizzera è impegnata in diverse attività a favore dell’abolizione della pena capitale. Nel 2010, ad esempio, Ginevra ha ospitato il quarto Congresso mondiale contro la pena di morte. Il nostro Paese, sicuro dell’importanza del congresso per la campagna mondiale contro questa piaga, si onora di poter sostenere nuovamente l'importante evento patrocinando, insieme a Spagna, Norvegia e Francia, l’edizione 2013 che si terrà a Madrid nel prossimo mese di giugno.

La Svizzera sostiene anche le attività della Commissione internazionale indipendente contro la pena di morte istituita nel 2010 su iniziativa della Spagna. Ora la Svizzera è membro attivo del gruppo di Stati che compongono il comitato di accompagnamento, il cui segretariato ha sede a Ginevra.

La completa abolizione della pena capitale nel mondo intero è un obiettivo di lungo respiro, ma il processo che porta alla sua realizzazione è già in atto e nonostante gli ostacoli disseminati lungo il cammino stiamo andando nella buona direzione.

Esorto tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa a continuare a battersi per questa causa.

La pena di morte è una punizione inutile, illegittima e contraria ai valori dei diritti dell’uomo.

Esorto la Bielorussia, ultimo Stato europeo a praticare ancora la pena di morte, e gli Stati Uniti e il Giappone, che hanno statuto di osservatore in seno al Consiglio d’Europa, a portare avanti le loro riflessioni e ad adoperarsi con fermi propositi per una moratoria e in seguito per l’abolizione della pena capitale. Semplicemente perché è giusto così.

Signor presidente, signore e signori,

«Far politica significa autorizzare il futuro». La politica si rispecchia nello sguardo (prima innocente e poi severo) dei giovani, dei figli della Svizzera e dell’Europa, dei 50 giovani che in Svizzera e a Strasburgo sperimenteranno i valori del Consiglio d’Europa e della Svizzera.

Noi tutti, al di là delle nostre differenze, vogliamo leggere negli sguardi dei bambini un sogno d’avvenire, la voglia di libertà, la gioia di chi conosce la pace, il sorriso delle opportunità che si aprono in un continente stabile, sicuro e prospero.

L’Europa costruirà il proprio avvenire sui valori fondamentali che determinano il nostro comune destino: i diritti dell’uomo, le libertà fondamentali, la democrazia, la pace, la giustizia, lo Stato di diritto. Sono questi i valori che motivano l’appartenenza della Svizzera al Consiglio d’Europa.

Per questa ragione, per quegli sguardi, ringraziamo la vostra Assemblea parlamentare, e ognuno di voi personalmente, dell’impegno di cui date prova.


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