Votazione del 9 giugno 2013: no all'elezione popolare del Consiglio federale

Berna, 26.03.2013 - Il Consiglio federale è convinto che l’elezione popolare dell’Esecutivo nazionale non rafforzi la nostra democrazia, ma le renda un pessimo servizio. Pur essendo gli elettori senz’altro in grado di scegliere buoni consiglieri federali, l’elezione popolare renderebbe più ardua la collegialità governativa e cagionerebbe altri effetti negativi per il nostro sistema politico. Martedì la consigliera federale Simonetta Sommaruga, affiancata dal presidente del Consiglio degli Stati Filippo Lombardi, ha illustrato perché il Consiglio federale e il Parlamento raccomandano ai cittadini di respingere l’iniziativa in votazione il 9 giugno 2013.

L'iniziativa spingerebbe i consiglieri federali a una perenne campagna elettorale: accanto alla propria attività governativa dovrebbero adoperarsi per garantirsi la rielezione. A differenza dei membri degli esecutivi cantonali, a presente eletti dal Popolo, i membri del Governo nazionale dovrebbero impiegare tempo ed energie per campagne d'immagine e interventi elettorali su scala nazionale – in 26 Cantoni con quattro lingue e culture differenti. Tempo ed energie che vengono poi a mancare nella politica reale, nella conduzione politica e nella ricerca di soluzioni supra partes. Tali sforzi per ingraziarsi l'opinione pubblica finiscono per pregiudicare anche la cooperazione nel collegio governativo.

Stando alla consigliera federale Sommaruga, l'elezione popolare indurrebbe i membri del Governo a mettersi in luce cercando di conquistare le simpatie del pubblico più di quanto facciano finora, con il rischio che un consigliere federale non giudica più i propri progetti principalmente in base alla loro utilità per il Paese, ma in base alle chance di rielezione che offrono.

Dipendenza da gruppi di potere

Una campagna elettorale e d'immagine su scala nazionale non richiede però soltanto molto tempo, ma anche considerevoli risorse finanziarie. I candidati al seggio governativo dipenderebbero più di oggi dai partiti nazionali, da individui facoltosi, da imprese o organizzazioni lobbistiche in grado di condurre e finanziare una campagna elettorale su tutto il territorio nazionale. Ne risentirebbero soprattutto l'importanza dei partiti cantonali e il senso di appartenenza dei consiglieri federali alla loro regione.

Indebolimento del Parlamento

Il presidente del Consiglio degli Stati Filippo Lombardi ha puntualizzato che l'elezione del Consiglio federale – e la successiva vigilanza sul suo operato – è un compito essenziale del Parlamento, che uscirebbe indebolito da un sì all'iniziativa, perché privato di tale prerogativa. Il Legislativo perderebbe quindi parte del suo potere, e il rapporto consolidato tra i poteri politici rischia di sbilanciarsi, la cooperazione tra Consiglio federale e Parlamento di complicarsi.

Problematico il sistema delle quote

L'iniziativa prevede una quota per le regioni francofone e italofone, ma non per quelle romance. Per tradurre la quota nella pratica occorrerebbe delimitare con precisione le regioni francofone e italofone dei Cantoni plurilingui e suddividere per gruppi gli abitanti delle regioni e delle città plurilingui. Inoltre le regioni francofone e italofone finiscono nello stesso calderone per concorrere a due dei sette seggi nell'Esecutivo nazionale: ai candidati italofoni sarebbe quindi difficile imporsi, perché la Svizzera italiana conta quattro volte meno elettori di quella romanda.

Non mettere a rischio la stabilità

Oggi il Popolo elegge in Parlamento i propri rappresentanti, che a loro volta eleggono il Consiglio federale. Tale meccanismo, rimasto invariato sin dalla fondazione del nostro Stato federale oltre 160 anni fa, è stato convalidato a varie riprese in sede di votazione. Non fanno quindi difetto né la democrazia né la codecisione degli elettori.

Nel corso degli anni anche le minoranze linguistiche francofona e italofona sono state ben rappresentate in Consiglio federale. Rispetto ad altri Paesi inoltre, il Governo svizzero si distingue per una grande stabilità, su cui poggiano tra l'altro la coesistenza pacifica di diverse culture e mentalità, come pure la coesione interna e la prosperità del nostro Paese. Ecco perché sarebbe sbagliato sostituire questo meccanismo elettorale collaudato con uno nuovo dagli effetti imprevedibili sul funzionamento del nostro sistema politico.


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