Gedenken an Flavio Cotti (1939–2020), Bundesrat von 1987 bis 1999 (it)

Locarno, 12.05.2023 - Ansprache von Bundesrat Ignazio Cassis, Vorsteher des eidgenössischen Departements für auswärtige Angelegenheiten (EDA) - es gilt das gesprochene Wort

Gentile signora Renata Cotti
Signor Luigi Pedrazzini
Onorevole consigliere di Stato
Onorevole sindaco
Stimato presidente nazionale dell’Alleanza del Centro
Stimato presidente cantonale dell’Alleanza del Centro
Autorità tutte
Signore e signori

Ho parlato per la prima volta a Flavio Cotti durante la festa per la mia elezione in Consiglio federale. È stato il regalo più bello di quel giorno.
Il regalo più giusto.

Lui infatti era l’unico, quel giorno, a sapere veramente che cosa stavamo facendo, o meglio che cosa io stavo per fare.
Mi ha passato il testimone, trent’anni (trent’anni!) dopo la sua elezione in Consiglio federale.

Non l’ho purtroppo conosciuto a un livello personale, né durante la sua funzione di consigliere federale né in seguito.

Però da più di cinque anni mi trovo proprio lì dove si trovava lui: ticinese in Consiglio federale e capo del Dipartimento federale affari esteri.

Percepisco la sua eredità. Lavoro con persone che hanno lavorato con lui. Il posto della Svizzera in Europa. Nelle Nazioni Unite. La coesione del Paese. Le sue sfide sono le mie.

Mentre vi parlo oggi sento in me due forti insegnamenti. Da un lato la continuità e circolarità della storia. E dall’altro lato la “limitatezza nel tempo della chiamata al potere”.

Sono parole sue, di Flavio Cotti, che quando venne eletto la prima volta Presidente della Confederazione, nel 1990, prima parlò della “tradizionale propensione degli svizzeri alla semplicità”. Poi, appunto, della “limitatezza nel tempo della chiamata al potere”.

Questa consapevolezza del limite non può che renderci migliori. Più realisti. Più efficaci. Ambiziosi e modesti al contempo. In una parola più svizzeri.

Resto ancora un momento nel 1990 e riprendo le parole di qualcuno che c’era allora e c’è stasera.

“Caro Flavio –disse quel qualcuno– oggi ti facciamo carico delle nostre aspettative di locarnesi, di ticinesi, di svizzeri, di giovani, di anziani; ti chiediamo di essere uno degli elementi unificatori di questo Paese che taluno vuole in pericolo di disintegrazione di fronte alle controversie interne e alle prospettive di evoluzione politica in Europa”.

Sono parole lungimiranti di Luigi Pedrazzini, che allora era presidente cantonale del PPD e oggi ringraziamo per aver coordinato questi due giorni importanti.

Si, importanti, per fare memoria di chi è venuto prima di noi, e lo ha fatto lasciando il segno.

La carriera politica di Flavio Cotti è stata tracciata da chi mi ha preceduto, e verrà ancora approfondita stasera e domani. Io vorrei soprattutto ricordarlo tramite ciò che sento unirmi a lui, e anche tramite ciò che mi differenzia.

Democrazia cristiana lui, liberalismo io. Vi lascio giudicare se queste due diverse origini politiche uniscano oppure differenzino.

Forse entrambe le cose, anche se sempre più forte è l’esigenza di unità di fronte a una certa dispersione delle forze e a una certa perdita di orientamento della politica odierna.

Mattiniero lui, nottambulo io (non fraintendetemi!). Ancora oggi si racconta di come la luce del suo ufficio fosse la prima ad accendersi, al mattino. Una caratteristica che probabilmente piaceva alla maggioranza svizzero-tedesca, la quale talvolta appare invece un po’ disorientata dalla mia abitudine di lavorare fino alle ore piccole.

Lui esperto della politica, avendone percorso tutte le tappe ad ogni livello. Io convertitomi in età piuttosto avanzata.
Lui di stampo umanista, io scientifico.

Entrambi ci siamo occupati di salute pubblica, io come medico cantonale e nel Parlamento federale, lui come capo del Dipartimento federale dell’interno.

Entrambi siamo arrivati alla testa degli affari esteri suscitando più perplessità che entusiasmo – così mi raccontano i collaboratori di allora e di oggi.

Le stesse persone mi dicono che pur essendo a casa sua sia nella cultura germanofona che in quella francofona, Flavio Cotti possedeva uno stile nel relazionarsi agli altri – come nel fare politica - che non sempre era capito dalle altre culture.

Mi dicono anche che si interrogava senza sosta sull’identità svizzera, su che cosa ci tiene assieme, e che non si alzava mai da un tavolo senza aver trovato un approdo comune, alla costante ricerca di un tratto unificatore.

Era lui stesso l’incarnazione pratica della teoria svizzera.

Tutti infatti raccontano di quanto fosse attento alla pluralità delle lingue e delle culture, alle minoranze, alle esigenze della politica regionale, ai problemi concreti delle zone più discoste del Paese.

Trovo particolarmente affascinante questa sua duplicità, capace di appassionarsi in egual misura per scenari geopolitici internazionali e per i bisogni quotidiani della gente.

Comprendo poi la sua esigenza di silenzio.

Il Ticino, nel fine settimana. Le settimane in Corsica, d’estate, senza un telefono cellulare, solo un numero fisso per le urgenze.
La calma, la saggezza e la cucina della moglie Renata. Le ore trascorse a nuotare.

Aveva la capacità, e penso anche la necessità, di passare in pochi secondi dall’immersione totale nel lavoro alla pace della riflessione interiore, alla ricerca di quello che davvero conta, alla ricerca dell’essenzialità.

Dicono che per ogni discorso c’erano come minimo 7 versioni. C’era sempre qualcosa che non lo soddisfaceva, una parola da migliorare.
Vi confesso che io per certe occasioni sono arrivato ad avere 13 versioni.

C’è da dire che lui era sostenuto da un artista della penna - l’attuale Cancelliere della Confederazione Walter Turnherr.

Dicono anche che fosse cangevole. Persino insipido o opportunista. Quel giorno, quando gli parlai alla festa per la mia elezione, non sapevo ancora che avrei avuto l’onore di essere associato agli stessi aggettivi.

Dicono che potesse essere sferzante, soprattutto verso chi non era abbastanza rapido ai suoi occhi (cosa che non era facile, data la sua intelligenza superiore!), ma più di ogni altra cosa ricordano il suo charme. Uno charme senza pari.

Fatte le somme, sono molte le caratteristiche che mi separano da Flavio Cotti e molto ho da imparare. Eppure fondamentale è ciò che ci unisce.

Stefano Franscini, Giovanni Battista Pioda, Giuseppe Motta, Nello ed Enrico Celio, Giuseppe Lepori, Flavio Cotti e chi vi parla.
Tutti siamo artefici di una battaglia che non sarà mai del tutto vinta.

Una battaglia che facciamo con voi, cittadine e cittadini di lingua italiana. Per mantenere vivo quel paradosso che è la ragione di esistere della Svizzera: stare assieme pur essendo profondamente diversi.

Ognuno con le proprie specificità, arricchendoci gli uni con gli altri.
Stare assieme, per permetterci di essere più liberi.

Il mio auspicio è lo stesso che esprimeva Flavio Cotti nel 1990: “Che l’albero della concordia possa crescere ulteriormente nel Paese”.

Vi ringrazio per l’attenzione.


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